giovedì 24 marzo 2011

Des hommes et de Dieux

Continua il filone cinema: ieri sera ho avuto l'occasione di vedere al cinema una delle poche pellicole arrivate in Italia del film che ha vinto il Gran Premio della Giuria all'ultimo festival di Cannes: Des hommes et des Dieux, Gli uomini di Dio. Questo film parla di un fatto di cronaca nera tanto tragico quanto dimenticato: l'uccisione di 7 monaci trappisti del monastero di Tibhirine, in Algeria, probabilmente ad opera della GIA (gruppi islamici armati). In realtà le vere cause che portarono all'uccisione di quei monaci non sono ancora chiarite. Il loro assassinio è comunque avvenuto nel periodo della guerra civile algerina che vedeva contrapposti il governo, instauratosi con un colpo di stato, e fondmentalisti islamici. Quando i monaci del monastero dell'Atlante furono sequestrati, il 26 marzo 1996, la guerra civile infuriava già da un po' e molti "infedeli" di origine europea erano già stati barbaramente uccisi. Nonostante questo, nonostante i monaci sapessero che restare in Algeria significava mettere a rischio la propria vita, decisero di restare e non abbandonare la comunità cresciuta intorno al monastero in un momento tanto difficile. Ha prevalso infatti in loro il senso di fratellanza, di vicinanza con i fratelli musulmani con cui ormai formavano una sola comunità.
Se con Rango è stato facile consigliare a tutti di vedere il film, con Gli uomini di Dio le cose si complicano un po'. Sicuramente è un bel film, che fa capire molto bene come la vita della comunità dei monaci fosse perfettamente integrata con quella della comunità musulmana della città, come ormai la vita dell'una dipendesse da quella dell'altra. Ovviamente, avendo al centro la vita di un monastero, non può essere un film che scorre via veloce: i silenzi prevalgono sui dialoghi, le immagini sui suoni. Nonostante questo sento di poter dire che il messaggio che emerge da questo film possa e debba essere diffuso il più possibile, soprattutto in una società dove la "caccia all'immigrato" rischia di diventare uno sport. Per questo invito tutti a non lasciarsi spaventare dalla durata, del film e dei suoi silenzi, e di gettare così uno sguardo su una vicenda in apparenza così lontana ma in realtà molto vicina.
Per concludere vorrei aggiungere il testamento spirituale di padre Christian de Chergé, priore della comunità, con cui si conclude il film e che mi ha davvero colpita per il messaggio non solo di fede, ma sorattutto di grande uguaglianze che emerge con forza.
"Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese, che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale, che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di tale offerta? che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimé, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.
Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.
Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno la "grazia del martirio", il doverla a un algerino chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’Islam.
So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’Islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.
L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa: sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: "Dica adesso quel che ne pensa!". Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.
Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’Islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo grazie, in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Insc’Allah"

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